Dal post-moderno al post-cinema

Mi permetto di avvisare di un'uscita editoriale a cui tengo molto e che ho curato assieme a Giovanni Spagnoletti, si tratta del mongrafico dal tema "Dal post-moderno al post-cinema", n. 24 e 25 della rivista "Close up – Storie della visione". Per incuriosirvi e darvi un'idea dei contenuti "posto" le "Istruzioni per l'uso del volume"…

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ISTRUZIONI PER L’USO

Interrogativi e questioni aperte… il dibattito sul postmoderno nel cinema è ancora in una fase fluttuante, ricca di voci e interventi, ma anche povera di una visione globale (forse in ciò pienamente postmodern), di punti fermi. Un dibattito che da oltre vent’anni, ormai si coagula intorno a termini noti (e, a volte, persino triti), come il cinema americano degli anni ’80 e ’90, quello tout court spettacolare, l’action movie e gli effetti speciali digitali; oppure le teorizzazioni sulle teorie sullo spettatore e la percezione. Di contro troviamo prese di posizione parziali, sviluppatesi, per esempio, riguardo al nodo del rapporto con il video e la televisione, sulla sperimentazione e il cinema d’avanguardia, sulla Feminist Film Theory, il tema del corpo e così via.
Da più parti inoltre si parla o si invoca la fine del postmoderno, del suo superamento: in fin dei conti, questa “non chiusura” del problema è stato un banco di prova importante per risvegliare l’attenzione sul cinema contemporaneo e sulla sua (non)teoria. Insomma ha imposto paradigmi e uno sguardo attento a quanto accadeva intorno al cinema stesso. E non ci riferiamo soltanto ai mutamenti tecnologici,  all’ emergere e l’intrecciarsi dei nuovi media, ma anche alle teorizzazioni all’interno di ambiti disciplinari collaterali, al tentativo di altre aree scientifiche di inglobare gli studi sul cinema (pensiamo in particolare all’esempio dei Cultural Studies e dei Visual Studies). Un ibridamento proficuo a nostro parere, che, però, riflette anche una grave questione d’identità, la perdita di centro del cinema nella discussione culturale contemporanea, che è forse il contributo più originale (e involontario?) del dibattito sul postmoderno. Se c’è qualcosa di veramente “post” oggi, sembra essere proprio il cinema per come l’abbiamo conosciuto e studiato sino a pochi anni fa.
Il termine postmoderno ha dunque fatto emergere l’esigenza di una prospettiva “post-cinema” la quale ha portato ovviamente a spaccature e sguardi mutevoli e che però, soprattutto in Italia, è stato un po’ logorato da due atteggiamenti opposti ma altrettanto controproducenti: da una parte un uso leggero e “modaiolo” del termine, venuto ad assumere una sorta di significato valido e utilizzabile “per tutte le stagioni”; dall’altra una altrettanto “leggera” negazione di ogni valore, come se ci si dovesse schierare sulla parola piuttosto che sui concetti che si stavano elaborando intorno a questo nodo teorico. Una storia quindi fatta anche di incomprensioni e preconcetti e non facilitata dal fatto che alcuni dei testi più significativi sul tema nei decenni scorsi non siano mai usciti da noi: pensiamo a Rocking around the Clock: Music Television, Postmodernism and Consumer Culture (1987) di E. Ann Kaplan, Window Shopping. Cinema and Postmodern di Ann Friedberg (1993), The Cinematic Body di Steven Shaviro (1993). Oppure sono arrivati molto tardi come nel caso di L’écran post-moderne di Laurent Jullier del 1997 pubblicato in Italia col titolo Il cinema postmoderno quasi dieci anni dopo. Ma non sono stati tradotti nemmeno i testi di W.J.T. Mitchell e e quelli di Mark Hansen.
Non vogliamo affermare, presuntuosamente, che un dibattito fertile non ci sia stato anche nel nostro paese (ci riferiamo ai variegati e significativi interventi di Negri, Buccheri, Canova, Pravadelli, Autelitano), tuttavia esso sembra – almeno questa è stata la nostra impressione – essere stato recepito in maniera un po’ marginale e riduttiva, con il risultato di aver partorito solo un abuso del termine in studiosi meno attenti e aggiornati. A questo punto come rivista ci è parso opportuno, in  un’aria di stanca e di sostanziale “smantellamento” del problema, riprendere alcuni termini del discorso, interrogarsi sui cambiamenti, cercare di affrontare l’hic et nunc teorico, a partire innanzitutto da un sano vaglio critico, con l’atteggiamento di un’analisi spregiudicata e capace di guardare il presente, desiderosa di scorgere germi di novità e di storicizzare quanto avvenuto. Attraverso un taglio metodologico che osserva e che vuole ribadire alcune basi teoriche (questa almeno è l’intenzione). In questa ottica Alice Autelitano fa il punto sulla questione della narrazione mentre Roy Menarini rende conto della confusione terminologica e del problema di periodicizzare il postmoderno cinematografico proponendo una cesura storica come l’11 settembre per reintrodurre categorie culturali e teoriche. Proposta a cui sembra fare eco Marcello Walter Bruno quando si pone il quesito: «Se l’immaginario dominante è l’immaginario della società dominante, chiedersi se il cinema postmoderno è superato equivale a chiedersi se siamo (se l’occidente è) oltre ciò che è stata chiamata la società postmoderna. E allora: la postmodernità è finita l’11 settembre 2001?» Simone Ghelli affronta direttamente il tema dell’ “oltre il postmoderno” considerando il naufragio, la catastrofe, l’apocalisse, temi centrali; tra l’altro concetti cari a quanti (da Latour a Virilio fino al più recente Jameson e Zizek) cercano di affrontare il sistema sociale, culturale e visivo contemporaneo. Simone Arcagni ragiona su questa intensificazione dello sguardo, giunta a quella “megaloscopia” (Virilio) che sta alla base di molte teorizzazioni sul postmoderno, e ne segue il filo evolutivo osservando le nuove opzioni scopiche proposte dal digitale e dalla scienza. Nel discutere” Di alcuni gesti fondamentali nel cinema contemporaneo” Enrico Carocci giunge alla conclusione che “nel contemporaneo convivono, insomma, almeno due modi di rappresentazione diversi, che procedono da due diversi rapporti con il dispositivo cinematografico, e che danno luogo a due forme diverse di esperienza spettatoriale.” Luca Malavasi sceglie di occuparsi di un aspetto specifico e di un testo di riferimento con il suo intervento “Il corpo scrivente: Elephant di Gus van Sant”. Con Ninì Candalino si riflette, invece, sulle “Pratiche d’ibridazione nelle dinamiche della produzione di cinema e fiction tv made in Usa”. Infine Valentina Valentini (“Emergenze e sopravvivenze: arti visive video cinema”) e Vincenza Costantino (“Sul cinema post(video)moderno”) propongono delle nuove aperture verso i contigui e contaminati territori del video.
Per affrontare un tema di questa portata e interesse, abbiamo pensato, infine, che fosse indispensabile far intervenire alcuni dei protagonisti del dibattito internazionale: così Veronica Pravadelli ha dialogato con Laura Mulvey, Cristiano Poian ha intervistato David Rodowick mentre Laurent Jullier, nel testo che apre il presente numero, si è interrogato sulle relazioni tra postmoderno e digitale.