Si consiglia il Cous Cous

Il week end cinematografico ci ha portato qualche nuova uscita: L’allenatore nel pallone 2 di Sergio Martino con Lino Banfi che torna a vestire i panni dell’allenatore Oronzo Canà a più di vent’anni di distanza; Io sono leggenda di Francis Lawrence, fantascienza apocalittica con Will Smith; Bianco e nero, commedia dai risvolti sociali diretta da Cristina Comencini, con Fabio Volo e Ambra Angiolini; Lussuria di Ang Lee, il film che ha vinto l’ultima edizione di Venezia, e infine Cous Cous di Abdel Kechiche, il film che vorrei consigliare.
Reduce anch’esso dal festival di Venezia, dove ha vinto il Gran Premio della Giuria e la protagonista, la giovane esordiente Hafsia Herzi, il Premio Mastroianni.
Kechiche si era già fatto notare con il film La schivata (2003), e quest’ultimo conferma ogni cosa positiva detta su di lui. Cous Cous è un affresco corale ambientato a Sète, vicino a Marsiglia. Un uomo di origine magrebina che dopo 35 ani di lavoro nei cantieri navali perde il posto e decide di riparare una vecchia nave e mettere in piedi un ristorante specializzato in cous cous. Intorno all’uomo e alla sua decisione si aggirano contrasti famigliari, piccoli e grandi rancori, la burocrazia, ma anche l’affetto e l’amicizia. Kechiche riesce a tratteggiare i caratteri di ciascuno attraverso pochi ma decisi tratti. Il lavoro sugli attori ricorda il cinema dei fratelli Dardenne o di Robert Guediguian, ma anche quello di Cassavetes, se vogliamo. Il regista si ferma sui loro volti, privilegiando i primi o i primissimi piani, se non addirittura i dettagli. La macchina è quasi sempre a mano, le riprese sono spesso lunghe con brevi panoramiche a scatto per definire meglio la situazione. Una tecnica che dona al film una sorta di senso documentaristico, ma che sa anche cogliere l’umanità delle situazioni, le emozioni e la sensualità dei corpi, ma anche dei cibi. Inoltre Kechiche sa usare sorprendentemente gli ambienti e lo spazio: gli interni umili, gli scorci di città, i quartieri popolari, il porto… gli spazi e i colori definiscono una città mediterranea industriale con i contrasti che la caratterizzano: l’incontro con gli immigrati, lo squallore di certa architettura ma anche la vitalità del mare.