Domenica su “Nòva” è uscito un mio pezzo su GPT-3, l’intelligenza artificiale che, sulla base di un incipit testuale che gli viene immesso, prosegue in autonomia continuando il racconto o il ragionamento. Come scrivono Massimo Chiriatti e Luciano Floridi su “Agenda digitale” (qui):
“GPT-3 (Generative Pre-training Transformer). Un modello di linguaggio autoregressivo di terza generazione che utilizza l’apprendimento profondo per produrre un testo simile a quello umano. O per dirla più semplicemente, si tratta di un sistema computazionale progettato per generare sequenze di parole, codice o altri dati, a partire da un input sorgente, chiamato prompt. (…) GPT-3 scrive testi in modo automatico e autonomo di ottima qualità.”
Va a scandagliare grandi archivi di data che rimandano al testo di partenza in modo da poter simulare, in totale autonomia, una propria indipendenza creativa, o quanto meno retorica.
Immettendo famosi incipit di Leopardi e anche preordinando un’entropia ampia, si capisce la logica: riconosce l’ambito. Leopardi, poesie, ripesca nelle fonti primarie (le altre poesie di Leopardi) e secondarie (i paratesti, i commenti, la critica) e li ricolloca assecondando la metrica il testo. E quindi avremo un Infinito con rimandi di A se stesso, Alla luna o di A Silvia etc.
Come dicevo nell’articolo, ancora più interessante l’immissione della prima terzina della Divina commedia dantesca perché qui la macchina decide lei per un’entropia zero e continua il testo dantesco. Una resa? Forse un errore. Forse un limite: non ha trovato riferimenti e paratesti in grado di non continuare il testo originale.
Questo limite è il confine, la rimarchevole differenza. Siamo sempre coinvolti in questo giochino di quanto l’intelligenza sia intelligenza e se quella artificiale possa chiamarsi intelligenza, senza accorgerci che in qualche modo lo stesso uso dei termini ne limita il campo. A questo si aggiungono poi le limitazioni disciplinari… come se l’intelligenza artificiale non fosse stata pensata prima di essere realizzata, teorizzata, immaginata, foss’anche completamente inventata. Non si tratta comunque di tasselli di un più complesso mosaico che chiamiamo cultura? Attenzione non sto promuovendo un anarchismo metodologico e concettuale, bensì sto difendendo il diritto di un approccio culturale che stimoli riflessioni sul nostro rapporto con l’idea di intelligenza artificiale. Sui nostri immaginari e quindi sugli orientamenti che imprimiamo volenti o nolenti sul lavoro ingegneristico, mai neutro.
La storia culturale del termine intelligenza artificiale in qualche modo ne sostanzia i diversi usi e l’acquisizione dal punto di vista della sua forma più ardita, fantascientifica… come se la fantascienza non fosse un orizzonte culturale, umano, una parte significativa del nostro divenire evolutivo in simbiosi con le tecnologie.
Inoltre va considerato che il termine intelligenza non può rifarsi a un solo genere, a una sola identità culturale, a una solo campo… piante, animali sviluppano forme di intelligenza (e basta, anche in questo caso, paragonarla a quella umana!).
In questo senso cito Golem XIV ammirevole racconto di Stanislav Lem (pubblicato in Italia da Editrice il Sirente) che immagina una nuova macchina intelligente, il GOLEM (General Operator Longrange Ethically Stabilized Multimodelling) che performa affermazioni e veri e propri talk, ma con alcune questioni basilari:
1- … Golem XIV non è un cervello umano… Gli sono estranee quasi tutte le motivazioni del pensiero dell’azione umani…
2- … non possiede personalità né carattere. Anche se può procurarsene uno a suo piacimento attraverso il contatto con gli uomini…
3- Il comportamento del Golem è imprevedibile…
Lo affermava già Calvino nelle sue riflessioni su Cibernetica e letteratura. L’arte combinatoria che il computer incarna e porta alle sue più estreme possibilità, non può sostituire la creatività umana, ma può scatenare l’imprevedibile. Ecco in questo imprevedibile che quindi è teorizzabile, immaginabile, raccontabile, sta un pezzo importante dell’intelligenza artificiale, cioè tutta la sua radice umana e tutta la sua differenza.