Il Divo

Un pezzo di rock veloce e irruente, una serie di omicidi cruenti girati come in un noir contemporaneo. Poi una sfilata di auto blu: ne escono alcuni figuri, ripresi al rallentatore. Alcune scritte rosse entrano nell’immagine per indicare nome, cognome (spesso anche il soprannome) e il ruolo. Insomma un inizio da film, magari alla Tarantino, con i protagonisti, le star, e nel mezzo (lo vediamo anche intanto ad essere sbarbato attorniato dai suoi “scagnozzi” come Al Capone ne Gli Intoccabili) la star delle star, il divo, Giulio Andreotti. Con questa geniale trovata Sorrentino ci restituisce non tanto gli ultimi 15 anni di storia italiana (per chi cerca in questo film una crono-documentazione dei fatti rimane deluso), quanto la storia del fascino del potere, del divismo, di sapere tutto di tutti. Il potere mediocre di chi conosce le bassezze degli altri e le sfrutta, di chi va fiero non tanto di quanto ha realizzato nella sua vita, ma del puro fatto di esistere, di esserci ancora, di tirare a campare….
Sorrentino con Il Divo ha guardato in faccia i volti di questi protagonisti (da Salvo Lima a Cirino Pomicino, Totò Riina e Giulio Andreotti), ha ripreso fatti ed eventi, ma ha centrato il suo discorso sul potere divistico visto da dentro e da fuori. Che importa sapere chi è Andreotti (molti italiani se lo sono chiesto a Cannes) quando il film è una riflessione universale su un potere povero moralmente, esteticamente e ideologicamente. Il fasto del nulla, accerchiato da un combattimento senza esclusione di colpi che sembra per lo più una sceneggiatura di film. Quando la realtà si scolla, allora il reale diviene solo l’archivio di Andreotti, faldoni e faldoni con nomi, eventi, cose che non è dato sapere… ma che incombono.
Il divo è un film da vedere perché è bello, si, così, semplicemente: è un gran bel film. Ma è da vedere anche perché schivando la cronaca e la politica, è un potentissimo ritratto della povertà morale del nostro sistema di potere, della nostra storia repubblicana. Sorrentino usa l’arma del surreale, del poetico, calibra i toni sfiorando persino il grottesco… la pochezza che il divo incarna è direttamente proporzionale all’impazzimento morale di questo paese (dalla mafia alla P2, il terrorismo e “mani pulite”).