Cinema psichedelico: Peter Whitehead a Bellaria

Vedevo l’altra sera More e La vallée e di Barbet Shroeder, film della fine degli anni ’60 che sono animati da uno spirito psichedelico, con le musiche dei Pink Floyd e una serie di mezzi stilistici cinematografici come il contro-luce, il ralenti, il montaggio veloce, le panoramiche a schiaffo, gli zoom ecc. realizzati per provocare nello spettatore un senso di spaesamento spazio-temporale, un effetto, per l’appunto, psichedelico. Siamo negli anni degli hippy e del LSD ovviamente. Non si tratta di grandi film ma ugualmente ne sono sempre rimasto affascinato, così come dall’ingenuo psichedelismo di Roger Corman e i suoi sogni allucinati in The Trip con Peter Fonda e Dennis Hopper. Così come mi ha sempre catturato la psichedelia più giocosa dei film dei Beatles come Help! di Richard Lester o di Magical Mistery Tour dei Beatles.
Mi affascina anche l’idea di una ricerca sullo stile psichedelico e sul fatto che si possa persino cercare di definire una sorta di genere: il cinema psichedelico. O forse un “meta-genere” che attraversa diversi generi come l’animazione per Yellow Submarine, il cinema d’autore: mi viene in mente il potentissimo finale di Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni, l’esplosione sognata che frantuma in un ralenti davvero alienante oggetti comuni e quotidiani sul ritmo ipnotico, ancora una volta, dei Pink Floyd. Ma anche il documentario, come nel caso di Tonite Let’s All Make Love in London o Pink Floyd London ’66 – ’67 dell’inglese Peter Whitehead, figura di culto del cinema documentario che finalmente viene riscoperto attraverso una retrospettiva che gli dedica il Festival di Bellaria, l’appuntamento annuale (5-9 giugno) con il cinema documentario. Peter Whitehead porterà a Bellaria i suoi sixties, i volti della Londra swinging e psichedelica (dai Rolling Stones a Michael Caine, Vanessa Redgrave, Eric Burdon e, ovviamente, i Pink Floyd), la cultura psichedelica, le lunghe suite ipnotiche e, a tratti, rumoristiche, i vestiti floreali e svolazzanti, ma anche un cinema “libero” e liberato dalle convenzioni narrative, più vicino al cinema di avanguardia e sperimentale, deciso ad impressionare il suo pubblico, ad ubriacarlo seguendo percorsi stilistici sperimentali.