Il telecomando ha ucciso il cinema… parola di Peter Greenaway

Vi riporto una parte della bella intervista a Peter Greenaway che hanno realizzato Domenico De Gaetano e Serena Perrone per il numero 22 di “Close up” dedicato al rapporto tra cinema e web.

Le tue ultime ricerche dimostrano che sei interessato a espandere i limiti del cinema. Internet è sicuramente una strada, mi puoi parlare del tuo modo di pensare cinema e web?

Il cinema non è più il principale mezzo di comunicazione della nostra epoca. Un tempo lo era, ma adesso è stato spodestato dalla televisione e dalle enormi possibilità che questo nuovo media ha introdotto. È una moderna rivoluzione della visione che in qualche modo fa da preludio alla libertà di scelta in Internet e che ha una data di inizio ben precisa: un magico giorno che potremmo convenzionalmente indicare come il “31 settembre 1983”. Quel giorno, il telecomando non è solo entrato definitivamente nelle case di mezzo mondo, ma ha cambiato le nostre prospettive e le nostre aspettative di fruizione delle immagini. Da quando è stata introdotta la possibilità di scelta immediata tra più canali televisivi da parte dello spettatore, la natura del cinema si è trovata di fronte ad un cambiamento ineluttabile perché il cinema, di per se stesso, non offre un’analoga possibilità di scelta.
Cos’è, in fondo, il cinema? Un gruppo di persone che entra in un ambiente socialmente condiviso e guarda, per convenzione, al buio, nella stessa direzione. Gli spettatori prestano attenzione a quello che viene proiettato sullo schermo, che però rimane completamente al di fuori del loro controllo e non può essere modificato in alcun modo.

Però è normale che lo spettatore non intervenga nella fruizione cinematografica…

Certo, ma nella pittura è diverso. In quanto artista mi ritengo fortunato perché la mia formazione di pittore e il mio ruolo attuale di regista di film mi hanno fornito due prospettive differenti. Puoi andare a vedere la Gioconda e stare a osservarla per quanto tempo vuoi: due secondi, due minuti, due giorni o due anni, dipende da quanto resisti o da quanto ti lasciano stare nel museo… Il tempo di visione è pienamente sotto il controllo di chi guarda. Questa sembra essere una condizione invidiabile ed è il frutto di un contratto ben preciso tra il creatore dell’opera, in questo caso il pittore, e lo spettatore.
Invece, quando si fa un film, è il regista a definire il processo di visione di ogni singola immagine e lo spettatore non può interagire con questa scelta. Come regista di film posso fare un’inquadratura di questo latte macchiato che abbiamo qui davanti, decidendo l’angolazione della visuale e il tempo di visualizzazione di quest’immagine. Che allo spettatore piaccia o no, in quanto regista, sono io a decidere quanto tempo deve guardare una certa scena, e anche da quale punto di vista.
Tutto questo potrebbe cambiare se avessimo un media che permettesse allo spettatore di saltare in qualche modo dal “time frame” di chi crea a quello di chi osserva.
È affascinante pensare che, dal 1983, un’intera generazione nel mondo tecnologicamente avanzato, per intenderci il Nord America, il Giappone, l’Europa occidentale, a cui di recente si sono aggiunti il Sud America e la Cina, conosce perfettamente la nozione del World Wide Web, dove un’enorme quantità di informazioni è disponibile quasi istantaneamente.
Non tenendo conto della censura in Cina o dei problemi legati all’hardware o all’efficienza dei sistemi, generalmente si può dire che nel 2007 tutto il mondo conosce la questione del prendere una decisione, del fare una scelta attraverso Internet.
Questa nozione apre altri scenari perché l’atto di scegliere è strettamente correlato ad un sistema politico democratico più trasparente. Ci è permesso di scegliere le persone che governano e che sono responsabili della nostra sicurezza, della formazione, dell’economia. La distribuzione del potere e la possibilità di scelta che abbiamo oggi non sono mai state così grandi, ma ovviamente ci sono eccezioni come l’elezione di Mr. Bush…

Quindi pensi che le nuove generazioni siano più libere..

Credo che ci sia una nuova generazione che è nata e cresciuta in questa situazione e che la considera scontata. Prendo spesso come esempio un episodio che riguarda mia figlia, che adesso ha quasi quarant’anni. Ebbene, quando la portai al cinema per la prima volta, lei lo descrisse come un enorme televisore immerso nel buio. Questo significa che era più abituata alla televisione che al cinema: la televisione era il suo termine di paragone e non sapeva neanche cosa fosse il cinema.
Il termine di riferimento per le generazioni di oggi non è neanche più la televisione, ma è il portatile. I giovani pensano di poter fare tutto con il portatile e di poterlo fare ovunque… d’altronde, perché no? Ricordo che quando ero piccolo, ho vissuto per un certo periodo in campagna con mia nonna. Stavamo in una casa dove non c’era l’elettricità e tutto funzionava a gas. Per me era impensabile che esistessero luoghi dove per accendere una luce non bisognasse premere un pulsante sul muro, ma avere dei fiammiferi…
Ecco, quello che voglio dire è che le generazioni di oggi tendono quasi a dimenticare che oggi si vive con il computer, dove possono guardare ogni cosa, calcio, sesso, telegiornali, i messaggi… proprio ogni cosa su questo straordinario dispositivo magico!