La nuova frontiera del visivo computazionale potrebbe essere davvero la macchina che ci guarda? Dopo il lancio delle tecnologie di riconoscimento facciale che hanno caratterizzato la comunicazione dell’iPhone X, tocca ora alla Disney proiettarsi nel mondo delle reti neurali che guardano chi guarda.
Ce lo racconta Mark Wilson in questo interessante articolo pubblicato su “Co.Design”…
The system has been trained to watch an audience of theatergoers as they watch a film. It can track reactions like smiling and laughter on hundreds of faces in a dark theater, allowing Disney to quantify whether or not a film is working as intended on a granular scale.
Ma che cosa cerca la macchina che guarda gli spettatori? Data! E cos’altro?
Una volta c’erano le pre-view in cui spettatori scelti in base a più o meno articolate ricerche di profilazione utente, armati di carta e penna, e dopo aver firmato un contratto di assoluta segretezza, visionavano in anteprima un film e fornivano alla produzione una serie di dati riguardanti il grado di soddisfacimento.
Ora questo tipo di raccolta dati appare una ben povera cosa rispetto alla mole di informazioni che una tecnologia come quella del riconoscimento facciale può fornire.
What’s different in this instance is the sheer amount of analysis Disney Research was able to produce with this methodology: 3,179 people generated 16 million points of data.
L’occhio della macchina si sostituisce alle raccolte dati tradizionale con una capacità quantitativa di impatto davvero strabiliante…
As Disney Research scientist Peter Carr put it to Phys.org: “It’s more data than a human is going to look through. That’s where computers come in–to summarize the data without losing important details.”
La strada l’ha aperta Netflix decidendo di affidarsi ad algoritmi di computer vision per “fotografare” i gusti degli utenti e quindi archiviare ed elaborare milioni di dati… la grande industria dell’estrazione dei dati si arricchisce così sempre più della possibilità di prelevare dati biometrici per poi definire comportamenti, emozioni e standard psicologici. L’inquietante morale di tutto ciò è che per guardare dobbiamo essere guardati… questa sembra essere una delle frontiere della visione digitale… divenire una spietata macchina di raccolta dati.