E’ morto Jonathan Routh l’inventore di candid camera, a suo modo un’idea estrema di documentario… intanto il festival di Bellaria continua: oggi ho visto Retour en Normandie di Nicolas Philibert, il “maestro” (così l’ha chiamato il direttore Fabrizio Grosoli mentre lui si scherniva). Un film molto bello, una sorta di viaggio nella memoria, ricordando di quando era assistente alla regia di René Allio che girava Moi, Pierre Rivière,ayant égorgé ma mère, ma soeur et mon frère… usando al posto degli attori gli abitanti, tutti contadini, del luogo in cui si svolse il fatto di cronaca nera (un famoso omicidio di 140 anni prima, di cui si occupò anche Foucault). Philibert ritorna nei luoghi e incontra nuovamente gli abitanti/attori in un percorso che lega Philibert, i contadini del borgo della Normandia, il film di e il fatto di cronaca… comunque la pensi… un maestro.
Ma, mi scuso con gli altri film ma oggi è stata la giornata di Peter Whithead. Stamattina ho visto Led Zeppelin live at the Royal Albert Hall (1970), un film concerto della famosa band di Robert Plant e Jimmy Page, un vero inno alla maestria vocale e strumentale (a volte persino un po’ stucchevole) ma un film magistrale per quell’inserirsi nell’emozione della musica con il montaggio, fermando le immagini, usando il ralenti, servendosi di dettagli e particolari, donando una visionarietà unica all’evento.
Ma soprattutto poi c’è stato lui, si presenta al pubblico e parla a ruota degli anni ’60 della liberazione della mente e soprattutto degli odiati Stati Uniti, vero nemico (parere di Whitehead) dell’Inghilterra e del mondo tutto.
Si inizia con il regista che definisce i sixties "dark", sfatando così la leggenda dei colori: dark perché la swinging London oltre alla moda e al pop era la guerra, la rivolta studentesca, i morti, il razzismo. Ma nero anche perché, come gli ha ricordato sua figlia, il nero è un colore affascinante che assorbe tutti gli altri colori. La realtà è immagine, è solo immagine e con l’immagine non si può cambiare la realtà… è quando si è accorto di questa amara verità che ha deciso di smettere di girare film. Ci torna solo ora per un film che dice vuole superare la razionalità per avventurarsi in un’altra dimensione, una dimensione che tra l’altro la musica riesce bene a scandagliare, ponendosi come prova lampante del fallimento della razionalità. La sua ricerca che – non esita a testimoniare – nei sixties si affidava anche all’uso di droghe diverse (in particolare dice di essersi concentrato sulla mescalina), si muove verso un’altra dimensione, quell’entanglement (o quinta dimensione) che Einstein aveva solo intuito e che – parole di Whitehead – forse solo gli egiziani hanno praticato con il loro culto della morte. Whitehead qui si scalda: cita scrittori, filosofi, storici e fisici per dimostrare che una dimensione diversa esiste e che la nostra felicità si può trovare solo oltre quella soglia… direi che per oggi ce n’è abbastanza.
Per approfondire consiglio il libro curato da Laura Buffoni e Cristina Piccinino, Peter Whitehead. Cinema, musica, rivoluzione (DeriveApprodi)