Rispetto troppo il lavoro di Ferzan Ozpetek per addentrarmi nel perché ho trovato il suo film non riuscito. Dovrei lottare con me stesso per non scrivere cose cattive, penso invece che il lavoro altrui vada rispettato. Mi accontento solo di accennare che il film non regge… un grumo di dolore si dipana attraverso lo spiraliforme incontro di alcuni personaggi nel corso di una giornata. Ma il dolore dei personaggi non sembra mai reale e non riesce neppure ad essere astratto e stilizzato come nei melodrammi di Sirk per esempio. Ozpetek si accontenta di un realismo un po’ da soup opera, facile cioè, fatto di case popolari, tentativi di stupro, gravidanze problematiche, suicidi, il tutto come in una rutilante sequenza di sventure condite dalla recitazione attonita – come se uno sguardo carico di pathos potesse esaurire le possibilità espressive del dolore. Un film non riuscito, non essenziale, non tanto per noi ma temo per il regista stesso, non si sente nemmeno per un momento l’urgenza che ha spinto l’autore alla realizzazione di questa opera. Si rimane fuori… se si sta al gioco, a poco a poco nella pancia nasce quel sentimento di compassione che è anche compiacimento che si prova per una soup o un servizio “strappalacrime” del telegiornale, ma come questi è pronto a farsi spazzare via velocemente, lasciando ben poco alle sue spalle… pathos non sentito come quello della colonna sonora inutilmente ripetitiva e eccessiva che infastidisce e distanzia ancora di più dalla vicenda narrata… eppure Ozpetek è bravo e sono sicuro che si rifarà da questa caduta.
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