La cosa che sconvolge maggiormente in Control di Anton Corbijn è l’intelligenza con cui ha evitato (non proprio sempre…) i luoghi comuni di queste biografie su musicisti. La storia di Ian Curts dei Joy Division seppur “patetica”, carica di dramma, persino tragica, viene svolta dal fotografo e artista olandese in manierea sofisticata. Fa un’operazione di iconografia, rendendo vivida e viva l’immagine della band comunicataci da poche foto delle riviste dei tempi e così ricostruisce, non tanto il mimetismo dei personaggi, quanto proprio il senso estetico dei Joy Division, dei loro luoghi. Il bianco e nero raffinatissimo di Corbijn è un mimetismo nei confronti dell’iconografia Joy Division, non tenta quindi di riportare ad uno stato di realismo una vicenda di culto, quasi mitica. In questo senso può avere anche mano libera per sprigionare scene madri, momenti drammatici (anche se il suo meglio lo da nelle riprese live della band). Corbijn ci riporta l’alone estetico dei Joy Division, cioè tutto quello che ci rimane di loro e all’interno di qusto mondo poetico innesta la “verità” della sfortuanta vita di Curtis. Un film quindi straordinario e un’operazione estetica intelligente e originale
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