Quando la Segreteria del Sottosegretario di Stato Sen. Lucia Borgonozni mi ha contattato per partecipare martedì 19 settembre nella sede del Ministero della Cultura al Convegno Intelligenza artificiale: creatività, etica, diritto e mercato (qui), ho pensato a lungo quale tipo di intervento fare. Ho deciso di puntare tutta l’attenzione sulla IA come fatto culturale provando a dimostrare come stiamo ponendo l’attenzione quasi unicamente sul fatto tecnologico e su quello economico, scordando che l’IA è, per l’appunto, un fatto culturale. Un fatto culturale che ha le sue radici profonde negli studi della mnemotecnica, nella combinatoria, nella Cibernetica.
Un fatto culturale che produce da secoli immaginari e che accoglie a sua volta immaginari da rielaborare.
L’approccio culturale serve a capire meglio le funzioni della IA generativa, i suoi confini e i suoi orizzonti, la colloca in un dibattito pubblico che è fatto di scambi simbolici e conflitti, ne identifica i punti di maggiore interesse, ovvero come le informazioni divengono data, cosa facciamo dei nostri archivi e in generale del nostro patrimonio culturale.
Ciò che deve indirizzare le politiche è per l’appunto una coscienza culturale del fenomeno.
Innanzitutto ricollocare l’oggetto IA in una giusta dimensione che è quella, non tanto e non solo di “ambiente” e non di strumento, bensì di vero e proprio “organismo” con cui entrare in relazione in maniera complessa.
E inoltre l’ambito culturale e artistico serve per sperimentare nuovi orizzonti, per liberarci dal dominio della tecnica che vuole imporci modi, usi e pratiche.
Le “allucinazioni” dell’IA generativa divengono allora un territorio di ricerca ricco e fecondo. In mano ad artisti, registi, designer, creativi, l’IA generativa può disvelare nuove pratiche e nuove dimensione del rapporto uomo-macchina, a patto, ovviamente di capire profondamente la sua natura e le sue implicazioni.