Randy Scott Slavin ci crede davvero… i droni possono essere una vera e propria nuova frontiera del linguaggio cinematografico. Ha fondato un festival per dimostrarlo, il New York City Drone Film Festival (qui) e una società, la Yeah Drones (qui) di cui è CEO e che si occupa di riprese aere con i droni.
Al di là della evidente spettacolarità di queste riprese, c’è anche da sottolineare un impatto nuovo e diverso delle riprese dall’alto… che tra l’altro già affascinavano tanto il cinema delle origini: dalle riprese su torri o palazzi a quelle aeree vere e proprie che hanno cambiato, per esempio, il modo di vedere il territorio sottostante, basti pensare al ruolo svolto da queste camere nelle guerre mondiali.
Per arrivare a noi, la società di Slavin sembra davvero molto indaffarata… e in una serie di occupazioni molto varie…
Lavorando per emittenti e piattaforme come NBC e Netflix
Qui a far divertire Will Smith al Tonight Show
C’è lo zampino di Slavin anche nel film National Bird di Sonia Kennebeck prodotto da Errol Morris e Wim Wenders…
Vedere dall’alto implica un’estetica diversa, un appiattimento delle figure, una irriconoscibilità dei volti, significa un punto di vista difficilmente mimetico…
Significa una rottura del patto tra spettatore e visione cinematografica…
Significa l’irrompere di uno sguardo, se non impossibile (ognuno di noi in un modo o nell’altro avrà avuto esperienze di visione dall’alto) quantomeno arduo, difficile, non perfettamente normalizzato…
La visione del drone ci spinge verso una propensione ad affidare il nostro occhio a camere digitali sempre più desiderose di sfidare le leggi del “normale senso” dello sguardo, delle camere prospettiche, frontali e solitamente orizzontali in cui siamo rinchiusi (ci siamo autoreclusi).