Venezia vista da lontano… ne ho sentito gli
echi, vagamente e un po’ distrattamente. Niente snobismo, non c’ero, avevo
molto lavoro e tutti si è affievolito… non mi sembrava vero quindi ieri avere
un pranzo libero con un paio di giornali e il tempo di leggerli e sfogliarli
per bene. Ed eccoci alla pagina dei premi veneziani. Ha vinto un israeliano,
Samuel Maoz, con il suo Lebanon, ovviamente non ho visto il film ma mi ha fatto
riflettere sul fatto che a mio parere il miglior film dell’anno passato fosse
sempre di un israeliano, Valzer con Bashir, e che la retrospettiva sul
cinema israeliano, in particolare quello indipendente, giovane, alternativo,
che è stata presentata al festival di Pesaro a giugno mi avesse colpito per la
freschezza, l’originalità, il valore alto di molte opere cinematografiche di
quel paese… quindi una sorpresa che è anche una conferma.
Leone d’argento a Shirin Neshat (Women without
a Man), anche in questo caso non ho visto il film ma l’artista iraniana ha
sempre avuto una sensibilità cinematografica davvero spiccata, si vedeva nelle
suo foto, spesso dei primi piani di dirompente forza, ma soprattutto nei suoi
video dove è in grado di maneggiare suoni e visioni con maestria, dove realismo
e simbolismo si incontrano: il deserto, le donne arabe, i canti, i fucili…
segni di morte e di vita si susseguono in una fantasmagoria realistica.
Fatih Akin (vincitore del Gran Premio della
Giuria con Soul Kitchen) non è più una sorpresa, il talento tedesco di origine
turca è ormai un regista apprezzato e addirittura vezzeggiato dai festival…