Media e computer liquidi. Intervista a Luciano Petullà

Media e computer liquidi. Le dimensioni dell’ubiquitous computing e la ricattura del mondo. Questo il titolo saggio appena uscito per Lampi di stampa e firmato da Luciano Petullà, esperto di Information & Communication Technology e già autore, assieme a Davide Borrelli, di un bel saggio sul videofonino pubblicato da Meltemi. Petullà si occupa dell’ubiquità della nuova dimensione sociale realizzata dalla odierna fase della cultura digitale. Un saggio intenso e molto interessante, ricco di spunti e di riferimenti che ci mostra un panorama di studi vasto che fotografa un sistema sociale, economico e culturale, nuovo caratterizzato da una eccezionale facilità di accesso alle informazioni e di una “maneggiabilità”, portabilità e mobilità dei device digitali unica.
Wearable computer, locative media, i nuovi sistemi GPS, il caso dell’Iphone portano ad una volatilità dei computer, al cloud computing. E iniziamo da qui il nostro incontro con Petullà…

SA Che cosè il cloud computing, che cosa significa?

LP Intanto, premetto che l’argomento “cloud computing” è trattato
nell’ambito dell’ubiquitous media perché è l’altra via – diciamo quella
“trascendentale” rispetto a quella immanente che vede le tecnologie
incorporarsi direttamente nell’ambiente, negli oggetti e nelle persone –
attraverso cui aumenta la pervasività mediale e l’espansione delle
nostre dimensioni e identità digitali.
Il cloud computing è una metafora relativamente recente che designa un
metodologia informatica che organizza e distribuisce le risorse
dell’Information & Communication Technology in modo nuovo. Ha a che fare
dunque con l’insieme dell’hardware dei computer come CPU e memoria, del
software come sistemi operativi e applicativi, e dei protocolli e
sistemi di inter-comunicazione, insomma le fondamenta su cui sono
sviluppati i servizi della rete. In questo nuovo paradigma le risorse
sono tutte ingegnerizzate/virtualizzate stratificandole e distribuendole
nella “nebulosa” della Rete. Per l’utente, si materializzano nel momento
dell’accesso, quando, avviando una semplice interfaccia su uno dei molti
apparati fissi e mobili, ci si aggancia più o meno “misteriosamente” ai
servizi della rete, diventata un super-computer che inizia a interagire
e presentare il prodotto delle sue elaborazioni.
In sintesi, è la nuova architettura che sta dietro all’esplosione della
cosiddetta nuova ondata di applicazioni sociali di internet, i servizi
web 2.0 (Facebook, Myspace, Gmail, WordPress, DailyMotion, Flickr, Digg,
Youtube, blog, …). E’ il potente motore di tutte quelle piattaforme
informatiche che devono rispondere velocemente e facilmente alla voglia
crescente delle persone di creare, inserire e gestire dei propri
contenuti in una logica altamente interattiva e partecipativa, come nel
caso, appunto, dei blog. La gran parte di queste piattaforme deve il
successo a un insieme di condizioni – gratuità delle risorse,
immediatezza e semplicità di accesso e gestione, modularità, grandi
economie di scala – che dovrebbe richiamare la nostra attenzione onde
riflettere non solo sulle opportunità ma anche sui risvolti impliciti
nell’affermazione di questo nuovo tipo di infrastruttura, soprattutto
nel momento in cui vi investiamo, funzionalmente ed emozionalmente,
molta parte delle nostre attività/informazioni. Ad esempio, rispetto
allo schema distribuito delle risorse e competenze Ict che abbiamo
ancora in mente pensando alle “tecnologie di libertà” di internet, in
cui si cercava di tenere insieme la passione per i mezzi e i contenuti,
qui vi è una forte asimmetricità tra il proprietario dei centri di
competenza e gestione dei media e l’utente. Ad esso si richiede solo di
munirsi di browser e di un accesso in rete, e di esercitarsi ovviamente
sui contenuti; al massimo, di fronte a qualche deriva “funzionale”, ci
si confronta “a posteriori” sulle lamentele – ma sempre che si riesca a
costituire una “massa critica” sufficiente.

SA Prendi l'Iphone come oggetto-modello di questo nuovo orizzonte digitale, perché e in che modo lo è?

LP L’Iphone della Apple è un esempio per molte ragioni, che cerco di
spiegare cercando di raccogliere sia i processi industriali che gli
aspetti estetici, e dunque esperienziali, che ne hanno fatto un successo
mondiale. Intanto, non vi è dubbio che il cellulare, con i suoi 4
miliardi di utenti e alti livelli di adozione in ogni regione del mondo,
un fenomeno che non ha eguali nella storia umana, sia una piattaforma
ubiqua su cui convergono iniziative e sperimentazione sia da parte
dell’industria sia, una volta aperto alla potenzialità e manipolabilità
dei servizi dati, delle persone. Da questo punto di vista, la Apple, una
delle realtà Ict che più si è distinta nella capacità di avvicinare il
computer alle persone – ricordiamo che è l’ideatrice dell’interfaccia a
finestre grafiche del pc – ha dimostrato di saper innovare, entrando
improvvisamente in un campo non suo e altamente sfidante, puntando di
nuovo sul desiderio e/o la necessità che le persone hanno di vivere ed
esprimersi nei contesti interrelati dei flussi digitali. Ad esempio, la
famosa interfaccia touch-screen del videofonino, con l’esaltazione del
senso del tocco, mette insieme praticità e sensibilità verso una
condizione in cui imperano dimensioni corporee inedite – come afferma il
sociologo Manuel Castells, ormai viviamo nello “spazio dei flussi” e nel
“tempo senza tempo” – e riafferma una fisicità che, in questo
transitorio, tende a contrastare ma anche esaltare la nostra crescente
tendenza a espanderci de-materializzandoci. Insomma, l’i-Phone come
indicatore dello “spirito del tempo” – non è un caso che se ne sia
parlato su tutti i mezzi di informazione del mondo.

SA Parli di un¹interazione uomo macchina mai così intenso… è un panorama positivo quello che tu prospetti o no?

LP Sinceramente, di fronte all’entità delle sfide che si stanno profilando
per l’umanità, sia in termini ambientali che di architetture
finanziarie, economiche, politiche e sociali, credo non dovremmo
spaventarci per questo tipo di sviluppi che, se non altro, hanno la
possibilità di ampliare e diversificare le nostre capacità di
comprensione, risposta, interazione, espressività e coordinamento. Credo
altresì che abbiamo l’esigenza e il dovere di seguirne le evoluzioni e
fare comunque tesoro di quanto la storia, e quella dei media in
particolare, già ora ci può insegnare circa le ibridazioni, mentali,
fisiche e sociali di cui l’uomo, un essere da sempre artificiale
(l'antropologia invita a studiarne le basi già nelle funzioni più
“naturali” del camminare, mangiare, bere, ecc.) è allo stesso tempo
artefice e prodotto. Per la verità, ogni tanto, pensando alla velocità
dei cambiamenti, alla fatica degli aggiornamenti richiesti, alla
difficoltà di includere più attivamente e consapevolmente parti di mondi
che ne rimangono fuori, così come alle credenze/ingenuità che si possa
fare a meno di confrontarsi con i reali problemi di potere e di etica,
qualche timore mi assale. Ma visto che parliamo di sviluppi che hanno
una forte matrice nelle reti, devo dire che, finora almeno, in questi
incredibili spazi collaborativi si riesce quasi sempre a trovare un
antidoto.

SA Ubiquità, localizzabilità totale, intensità e tecnologie sempre più di facile accesso e volatili, queste sembrano le parole d'ordine del futuro tecnologico, aggiungeresti qualche cosa d&#39
;altro?

Si, aggiungerei solo che tutto il futuro che già si intravede e si
in-filtra non avviene a dispetto delle persone e delle società. L'ampio
spettro delle possibilità di intermediazione tra cose, persone e
ambienti a cui la logica “dell'altrimenti possibile” dell'Ict può e dà
corpo non fluttua nel vuoto, mentre le infrastrutture di
interconnessione sono sistemi vivi e pulsanti che hanno l'esigenza di
rispondere a varie e pressanti logiche di sostenibilità.