Che strana cosa: David Fincher gioca a fare Jean-Pierre Jeunet, Il curioso caso di Benjamin Button è una sorta di copia d’autore del regista francese: fateci caso, l’immagine virata e seppia rimanda Una lunga domenica di passioni, la narrazione, con continui interventi di diari, lettere e voce narrante si costruisce come ne Il favoloso mondo di Amelie, così come la sequenza dell’incidente della protagonista è decisamente una citazione della “teoria del caso” nel cinema di Jeunet a partire proprio da Amelie (ma presente anche in Delicatessen e Una lunga domenica di passioni). Insomma a che gioco gioca Fincher? A fare Jeunet… mi pare strano, forse è rimasto impigliato da una sceneggiatura bella e imbrigliante, forse dal carico degli effetti speciali così impegnativi. Eppure quella vaga malinconia del tempo passato che si percepiva in Zodiac, qui si fa "maniera" di un passato americano mitico e irripetibile… un film bello in fondo, ma senza anima, e soprattutto senza autore.
D’altra parte un altro autore piuttosto personale sembra tradire se stesso, Darren Aronofsky, il regista indipendente autore di Pi greco – Il teorema del delirio, Requiem for a Dream, L’albero della vita.
Lasciati da parte surrealismo e effetti speciali Aronofsky fa un film sceco e scomodo. The Wrestler è tutto nella camera di Aronofsky che sta su Mickey Rourke, ne indaga il corpo eccessivo nei muscoli così come nelle rughe, nelle ferite, nei segni dei tatuaggi e nei segni della chirurgia plastica. Nel fermarsi sulla vita povera e ordinaria, alla fine, di una star di uno spettacolo di second’ordine, Aronofsky porta in primo piano, non tanto la nostaglia degli anni ’80 e del passato in generale, quanto il sentimento di un rivolgersi indietro che non è solo, e banalmente, il risultato della politica di Bush e di una crisi ora in atto… Aronofsky prende atto della vecchiaia dell’America: forse per la prima volta effettivamente l’America condivide con la vecchia Europa il sentimento di inadeguatezza, di avere alle spalle il futuro più radioso. Un senso di essere sempre al centro dello spettacolo, che sia un ring di wrestling o un palo di spogliarelliste in tristi locali di periferia. Uno spettacolo che ha però perso di senso, che si è fatto vecchio o che è vecchio per i suoi protagonisti… ma non c’è molta differenza. Allora quel Mickey Rorke, volto simbolo del cinema hollywoodiano degli anni ’80, trasfigurato e sfigurato in un ciclope post-Schwarzenegger, racconta di un altro film, un film sottotraccia, il film della fine di ogni sogno di grandezza hollywoodiano e di contro americano. Un film dolente quello di Aronofsky, ma non solo per le vite dolenti dei protagonisti che racconta come una ballata, ma per quel senso dolente generale. Un grande film di un regista che si tradisce per ampliare la propria poetica, questo si un film con la forza dell’anima.