Ciò che sembra caratterizzare sempre più la nostra società è una sorta di dialettica perversa tra paura e sicurezza. Ad un forte sentimento di paura corrisponde una richiesta di sicurezza. Ma dietro a questa sicurezza si cela spesso un tentativo di limitare le libertà personali, se non addirittura i diritti personali. Per alcuni questo è sintomo da una parte di una governance debole che non sa più costruire grandi progetti sociali politici e culturali e dall'altra un tentativo di costruire una società più "disciplinata" (rubo il termine da Foucault) da controllare e sorvegliare. Pensiamo all'America dopo l'11 settembre, ma pensiamo anche alle campagne intimidatorie (dalla aviaria al crollo dei mercati, dall'immigrazione alla violenza urbana) cavalcate da forze politiche sempre più populiste (che siano di destra o di sinistra).
In questa società non poteva che rispecchiarsi una modalità simile anche per le nuove tecnologie. La rete, per esempio, è da anni ormai al centro di un dibattito, spesso alto, ancor più spesso piuttosto banale, su sviluppo, libertà e sicurezza. Mi vengono in mente le battaglie per la censura, quelle per i copyrights, quelle sulla sicurezza informatica ecc.
Ora una interessante ricerca universitaria di area sociologica cerca di intervenire focalizzando l'attenzione sul problema della sicurezza e della libertà e proponendo un forte investimento in media education per uscire da una dialettica gestita o da grandi gruppi industraili o da persone dall'alto profilo tecnologico, insomma o ci alfabetizziamo realmente sui nuovi media orischiamo, noi che stiamo nel mezzo, di non capirci più nulla, o peggio di essere vittime di giochi sottili.
La ricerca suddetta è quella promossa dalla professoressa Anna Fici (Universtà di Palermo) e ha come punto di arrivo la pubblicazione del libro "Leggere e scrivere i media – L'uso delle nuove tecnologie tra delega e competenza" (Franco Angeli). Il volume, appena uscito, parte dall'osservazione del Trusted Computing, un tentativo da parte delle più grandi case produttrici di software di ovviare al problema della sicurezza fornendo programmi con già all'interno dispositivi di sicurezza che però si rivelano anche essere dispositivi di censura e di condizionamento. Eccoci di nuovo al nostro punto di partenza: la sicurezza di chi? Per chi? Utilizzata come?
Una cosa è sicura che più la paura starà al fondamento delle nostre società (come rileva Paul Virilio), più diversi attori cercheranno di giocare la carta della fiducia e della sciurezza, magari fondando poteri politici e/o commerciali.