Quello che colpisce nel nuovo film di Danny Boyle, oltre alla macchinosa ma geniale struttura narrativa, che non solo si serve di flashback che ripercorrono varie tappe della vita del protagonista come ricordi "accesi" dalle domanda del famoso quiz da cui il titolo del film. Ma Boyle va oltre: intreccia presente e passato, a volte anticipa, a volte ritorna indietro. Insomma crea una rete complessa di rimandi temporali davvero sorprendente.
Ma al di là, dicevamo, di questa sorta di iper-struttura che si rifà al genere melò, c’è la maniera con cui è riuscito a legare la vita dei suoi personaggi alla vita pulsante, diremmo organica, della città di Bombay/Mumbay.
Le splendide immagini delle baraccopoli, gli estesi campi di rifiuti, le strutture industriali invadenti e dall’altra il caos colorato del traffico a cui fanno posto, nel giro di pochi anni, alti palazzi del potere, segni di un boom economico spesso dai contorni kitsh, amministrato comunque, da una spinta al denaro cinica e senza vera progettualità. In questo caos megapolitano si svolge la storia, ma sembra che proprio questo caos muova la narrazione, la giustifichi, la decida. Come in Crash di Paul Haggins, come in La Zona di Rodrigo Plà, solo per citare i più recenti….