Pupi Avati in stato di grazia! Il papà di Giovanna è un buon film in cui le caratteristiche del cinema di Avati si ritrovano in un equilibrio davvero unico. Innanzitutto Avati direttore di attori: in questo caso fa un lavoro immenso con Alba Rohrwacher, Silvio Orlando, ma anche Francesca Neri, Ezio Greggio e Serena Grandi.
Le ossessioni di Avati, i giovani, la scuola, il fascismo, la liberazione, Bologna… ci sono tutte, ma non mere ossessioni d’autore ma luoghi di una poetica che in questo nuovo film respirano un’aria nuova. Avati ha un tocco magico, non concede niente alla spettacolarità, al pruriginoso, rimane su un registro dimesso entro cui sviluppa però varie sfumature sentimentali. E’ una storia piccola e immensa questo amore di un padre per la figlia con problemi mentali, così come piccola e immensa la storia di una amicizia particolare tra due famiglie, in un’Italia che quasi sbadatamente diventa fascista, entra in guerra e poi ne esce a fatica. Avati ha tra le mani una materia che potrebbe esplodere, potrebbe realizzare un melodramma a forti tinte, urlato, estremo (la pazzia, l’omicidio, la guerra), preferisce invece toccare tasti minimali così come su tasti minimi si realizza la grande interpretazione di Orlando. Un film d’altri tempi di un autore a mio parere molto discontinuo che questa volta però si ritrova, sa sviluppare le sue caratteristiche migliori e soprattutto vive questa storia di sentimenti che rischiano di soffocare. Quando l’amore troppo grande diviene quasi patologia. E allora non è Giovanna, la pazza, la maniaca, l’assassina, ad essere protagonista, ma il modesto padre, uomo che sembra sfiorare la vita, le cose, ma che trova in quella figlia impacciata e in quella moglie dalla bellezza invadente un universo da proteggere e ingabbiare e persino la Seconda Guerra Mondiale è troppo piccola per lui… Scenografie, costumi, musica, tutto concorre con maestria alla realizzazione di un film forse d’altri tempi, dal respiro però davvero vivido.