Juno

Juno è giovane, fresca, sfacciata, un po’ punk. Veste senza femminilità, beve beverozzi americani inguardabili, ama il rock duro, è piuttosto cinica…
Vive in una piccola realtà di provincia, le case tutte uguali, i giardini ben tenuti, i soliti amici, il centro commerciale. Ha un’amica del cuore un po’ sfacciata e un amico con cui flirta. A scuola non è certo popolare…. La sua vita passa piuttosto monotona attraverso i mesi e le stagioni, anche quando scopre di aspettare un bambino, dopo aver provato l’ebbrezza del sesso son il suo amico/ragazzo. Dopo aver scartato l’ipotesi dell’aborto decide di tenere il piccolo per affidarlo ad una famiglia: una famiglia perbene, ricca, bisognosa d’amore, matura e responsabile. Ma queste sono le apparenze, porprio come i prati ben tagliati del suo quartiere.
Juno di Jason Reitman (Thank You for Smoking) è una storia piccola, appena sussurata, proprio come le musica tra il folk e il pop che accompagna le vicende, senza traumi, ma la magia sta nella freschezza dello sguardo, nella lucidità del regista, nell’aver trovato visi e corpi veri, attori non di plastica. La malinconia di questo film che si spinge nel cuore dell’America e pone interrogativi, piccoli, bisibigliati… Juno è un film che fa venire in mente Broken Flowers di Jim Jarmusch ma anche Ghost World di Terry Zwigoff e Me and You and Everyone We Know di Miranda July… un cinema cioè indipendente, off Hollywood che mette in dubbio l’assioma pochi soldi/poco divertimento.
La sopravvivenza del cinema è legato anche al successo di film come questo, accanto ai colossi spettacolari in 3D che presto invaderanno i nostri schermi. Se le due dimensioni riescono a stare insieme allora avremo un cinema ancora vitale e in grado di assumere una posizione importante nel nostro universo culturale e simbolico.