Il realismo quasi brutale di La città nuda e nello stesso tempo il lirismo di questo dramma sociale che si tinge dei colori del gangster movie e del noir mi hanno sempre affascinato. A girare questo piccolo gioiello di una Hollywood un po’ dimenticata è Jules Dassin, regista americano nato nel 1911 e morto l’altro ieri, il 31 marzo. Un regista defilato, autore con Forza bruta (1947) e il già citato La città nuda (1948) di due piccoli capolavori che richiamano il lirismo crudo del fotografo Weegee (suo il flash che illumina i fatti cruenti di cronaca nera nella New York degli anni ’30 e ‘40). Poi la sua carriera si svolge tra alti e bassi: realizza un gioiello del noir come Rififi (1954), dirige la Lollobrigida e Mastroianni nel buon La legge (1958) e firma un film di discreto successo come Topkapi (1964).
Dassin è uno di quei nomi da riscoprire, anche nei passaggi meno riusciti; regista ostinato, legato al cinema di genere e nello stesso tempo con spiccate velleità intellettuali, costretto all’esilio all’inizio degli anni ’50 perché perseguitato dalla campagna contro le attività antiamericane di stampo comunista intentata dal senatore McCarthy. Come Chaplin o Joseph Losey, Dassin si rifugia in Europa, gira film in Francia, in Grecia e in Italia. Muore così ad Atene (dove risiedeva dal 1959) all’età di 96 anni uno di quei registi minori del cinema classico americano che hanno contribuito in maniera determinante alla storia del cinema.