Paolo Virzì torna nelle sale con un nuovo film, Tutta la vita davanti, e torna con la sua ricetta di un cinema che guarda, nei modi, la grande tradizione della commedia all’italiana e, proprio assecondando i suoi dettami, osserva la società italiana contemporanea: non ha paura dei luoghi comuni, non teme le esagerazioni e il grottesco (la scuola sembra quella del miglior Monicelli, ma si può notare anche qualche zampata alla Ferreri). Sa che sta mettendo il dito in una ferita aperta, un nervo scoperto della nostra società e lo fa senza ritrosie, guardando in faccia il mondo del lavoro, il mondo dei giovani, il cattivo gusto imperante, il precariato adottato a sistema, le piccole quotidiane illegalità.
Non è un caso che registi come la Comencini, Soldini, Mazzacurati, Ferrario (questo film mi ha ricordato il suo bel Tutti giù per terra) e molti altri stanno puntando la loro attenzione su una società allo sbando, in cui tutto è precario e l’etica del denaro ha solo inaridito le persone, ha fatto loro perdere una educazione ai sentimenti e alle emozioni. In questo film di Virzì c’è tutto questo. Non un capolavoro, ma un film importante… non sto neanche a dirvi quanto sono bravi gli attori, tutti, quanto Virzì è capace di dirigerli, come l’architettura ultra-contemporanea in cui si svolge la vicenda cozza contro una limitatezza culturale e una povertà economica e civile dei personaggi. Un film che va visto; la versione grottesca e caciarona (e quindi genuinamente italiana) di un Ken Loach.