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Nikita Michalkov è un regista potremmo dire storico, i suoi Partitura incompiuta per pianola meccanica, Oblomov, Oci ciornie, Urga, sono film entrati nella storia del cinema. Era da un po’ che non se ne sentiva parlare e ora in sala passa questo 12, stranamente un remake, più precisamente del film di Sidney Lumet La parola ai giurati. Ma a Michalkov non interessa – evidentemente – riproporre un film precedente, quanto usare questo magnifico testo per una riflessione sul carattere umano, sulla Russia, i suoi problemi, le sue guerre, i suoi fantasmi. 12 giurati devono riunirsi per decidere la sorte di un giovane ceceno accusato di avere ucciso il padre adottivo, un ufficiale dell’esercito russo. Sembrerebbe un caso semplice: prove schiaccianti incastrano il giovane, eppure la testardaggine di un giurato cambia il risultato di una sentenza data per scontata. A poco a poco si dipana sotto i nostri occhi, attraverso frammenti e flashback, la storia del giovane, una storia fatta di povertà, ignoranza e soprattutto violenza. Ma si apre anche un confronto serrato, spesso violento, tra i giurati, ognuno con la propria storia, un proprio passato di dolore, di scelte. Il carattere dei diversi giurati si scontra: nazionalismo, razzismo e incontro di tipi sociali diversi, si devono confrontare così come nella moderna confederazione russa. Un passaggio difficile, complicato dalle guerre, dalle incomprensione, da un passato ancora non ben digerito. Una fitta trama di ricordi e storie anima due stanze umili come la cella del ragazzo e la palestra adattata a sala del consiglio per i giurati. Una potente metafora della Russia attuale, la grandiosità di un cinema ricco di metafore e simboli, capace di gestire una compagnia di attori eccezionali, il tutto senza effetti speciali, con un’atmosfera da kammerspiele d’altri tempi. Crudo eppure suntuoso (l’uso della luce, la plasticità dei corpi nello spazio), una riflessione amara e aperta, come il finale…