Dal Torino Film Festival

Qualche coda mostruosa (e non perfettamente indicata e organizzata) e qualche film perso (ormai, nel fine settimana, a volte non basta nemmeno arrivare un’ora prima della proiezione) ma finalmente il Torino Film Festival è iniziato. Mi sono butatto come mio solito subito sulle retrospettive: Il coltello nell’acqua e Repulsion di Polanski, visti dopo tanti anni e finalmente sullo schermo cinematografico sono già di per sé due eventi da ricordare.
Sono andato anche a “chiudere qualche buco” nella retrospettiva British Renaissance sul cinema britannico degli anni ’80…. devo dire una cinematografia che mi piace molto e che quindi nel tempo avevo curato assiduamente, mi mancava per esempio Angel di Neil Jordan che seppure fa sentire i suoi anni è un film interessante.
Tra le novità vorrei segnalare Made in America di Stacy Peralta, l’ex campione di skate e ora regista a tempo pieno ha realizzato un documentario sulle gang di afroamericani dei quartieri poveri di Los Angeles, i Bloods e i Crips…un fenomeno incredibile di violenza e povertà in una delle città più ricche del mondo. Una vera e propria guerra territoriale nel centro della contea di Los Angeles. Peralta disegna la mappa di Los Angeles, ne identifica i quartieri, le zone, traccia una storia della cultura afroamericana nella città e poi segue il percorso delle gang, intervista alcuni giovani e altri ex componenti delle gang che ora cercano di svolgere un servizio sociale per la comunità. Un documentario che ha il ritmo e la rabbia del rap.
Ultima segnalazione per oggi Katyn di Andrzej Wajda, ultimo film del grande regista polacco, un film duro come la pietra, freddo come l’acciaio. Una storia vera: l’internamento degli ufficiali dell’esercito polacco subito dopo l’invasione nazista da parte dei sovietici e la successiva loro carneficina. Wajda sceglie di raccontare questo martirio – che tra l’altro verrà poi negatoalla fine della guerra dalle autorità sovietiche che accuseranno i nazisti della strage – attraverso gli occhi dei famigliari che aspettano, sperano, cercano notizie. Un film durisimo che si apre con un ponte: da una parte polacchi che scappano dai nazisti, dall’altra polacchi che fuggono dai sovietici e il dramma della Polonia si consuma da subito in questa immagine struggente. La musica di Penderecki incide sulle immagini, Wajda decide di raccontare attraverso episodi minimi ed esemplari e segure i personaggi attarverso i loro ricordi e le loro testimonianze. Finita la guerra il film si indurisce ancora di più a sottolineare la condanna piena anche del regima sovietico. Alla fine le immagine dure e impietose dello sterminio rimpiono gli occhi e la musica stridente anche se discreta aumenta il pathos. Lo schermo alla fine diventa nero e vi rimane per un intero e interminabile minuto, Penderecki sviluppa un tema religioso… solo alla fine possono passare i titoli di coda. Da vedere assolutamente.